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Cultura e Digitale: il valore aggiunto che la tecnologia è in grado di offrire alla fruizione dei beni culturali.

La cultura è un “soft power” che alimenta l’attrattività dei nostri territori e svolge un ruolo trainante in numerosi ambiti produttivi, arricchendo incessantemente i tratti distintivi del Made in Italy e consolidando il posizionamento dei prodotti e dell’immagine del Paese sui mercati internazionali. Per molti anni, nel settore dei beni culturali, il tema della conservazione e del restauro ha prevalso sistematicamente su altre questioni, considerate meno cruciali, come la valorizzazione e la fruizione dei beni culturali.

Conseguentemente, risulta oggi ben consolidato l’utilizzo della tecnologia nella diagnostica, nel restauro e nella conservazione dei beni culturali, ambiti dove l’Italia è in grado di vantare realtà d’eccellenza a livello internazionale, sia nella ricerca di settore che in ambito applicativo.

Solo in anni recenti, abbiamo potuto assistere a un cambio di prospettiva, con un interesse crescente verso il nodo della fruizione del patrimonio culturale. Parallelamente, si è resa più stringente la necessità di una maggiore sostenibilità della gestione dei beni culturali, sono state avviate partnership pubblico-privato inedite e una maggiore attenzione è stata prestata alla capacità di attrarre flussi turistici e allo sviluppo di un’esperienza di visita più coinvolgente. Passo dopo passo, si è diffusa la consapevolezza del ruolo abilitante che l’innovazione tecnologica e la digital transformation possono avere a favore di un mutamento di prospettiva dell’intero settore.

Il valore aggiunto che la tecnologia è in grado di offrire alla fruizione dei beni culturali è oggetto, oggi, di un dibattito serrato e continua a generare una casistica ampia di studi e sperimentazioni. Inizialmente la tecnologia è stata utilizzata con l’intento di migliorare l’esperienza del visitatore, rendendo l’offerta dei contenuti più versatile e personalizzata. Grazie ad un’intensa opera di digitalizzazione mirata, i percorsi espositivi tradizionali sono stati arricchiti con allestimenti multimediali, tecniche proiettive su grandi superfici, totem interattivi e display touch screen. Un grande impegno è stato profuso nella realizzazione di interfacce utenti sempre più naturali e accessibili, anche ai diversamente abili.

In anni più recenti, l’utilizzo della tecnologia ha cominciato ad orientarsi verso la creazione di esperienze sempre più immersive e di condivisione. Una diversa modalità di ideazione dei contenuti che permette di offrire alternative, finora inedite, nella fruizione di opere e beni culturali. Le soluzioni virtuali consentono infatti di realizzare storytelling di ultima generazione, in grado di dare vita a percorsi espositivi e addirittura a interi musei, anche in mancanza di opere carismatiche o di manufatti d’epoca, rendendo attrattivi un gran numero di castelli, fortezze, palazzi e luoghi di rilevanza storica, che pur essendo spogli di opere possono proporsi come location di avvincenti narrazioni.

L’ultima frontiera della valorizzazione dei beni culturali è indubbiamente l’utilizzo di visori immersivi e della virtualità. Non è infrequente oggi trovare all’interno dell’offerta museale anche esperienze di realtà aumentata, realtà virtuale e talvolta di mixed reality. Si tratta di soluzioni immersive, ad alta tecnologia, che si stanno diffondendo molto rapidamente e che promettono di rivoluzionare la progettazione e le logiche degli spazi espositivi, introducendo nuovi modelli di edutainment.

 

IL DIGITAL STORYTELLING

 

Il digital storytelling è una interessante forma di comunicazione per i musei, che si è imposta negli ultimi anni: esso pratica un approccio sui beni museali che li vede non come elementi statici ma come fonte di interesse da scoprire, fare propria e valorizzare, per coinvolgere il pubblico. Lo storytelling digitale è un approccio dalle immense potenzialità che attualmente non è stato coinvolto pienamente nelle strategie di divulgazione degli istituti culturali italiani, vuoi per mancanza di mezzi, vuoi per scarsa conoscenza dei mezzi e delle ottiche alla base del suo funzionamento.

Nel digital storytelling abbiamo una fusione di tradizione e di nuove tecnologie: strumenti come ologrammi, videoproiezioni, video installazioni permettono di imbastire originali modalità di comunicazione creative e versatili che rendono la narrazione storica avvincente anche per mezzo dell’impiego di effetti visivi e sonori.

Ma come può lo storytelling digitale aiutare concretamente i musei a valorizzare i propri beni culturali?

Si tratta di avvicinare le persone ai beni storici attraverso la forza della narrazione, creare un ponte tra il mondo attuale e quello trascorso, fare in modo che la Storia possa trasformarsi in un veicolo di emozioni e di un insegnamento personale.

La missione culturale o educativa deve essere trasposta in termini personali e avvalersi di tecniche di racconto precise e strutturate.

Lo storytelling culturale può riuscire a stabilire un rapporto concreto tra il pubblico e gli istituti culturali, attraverso effetti sensoriali e scenari inediti, avvalendosi di contenuti multimediali per comunicare e soprattutto per far vivere un’esperienza concreta:

  • Contenuti audiovisivi che espandono le potenzialità didattiche
  • App mobile
  • Piattaforme di transmedia storytelling per esplorare un contesto narrativo attraverso diversi media e in modo complementare

Lo storytelling immersivo, in particolare, permette di espandere l’esperienza dei visitatori, specialmente nelle fasi pre-visita e post-visita, facendo letteralmente “entrare” il pubblico in un mondo di realtà aumentata dove si può accedere virtualmente ai beni storici rielaborati e assaporare le storie che essi incarnano in una versione interattiva e originale.

IL MUSEO DIGITALE

 

Ma cosa vogliamo fare del digitale? Cosa chiediamo al digitale? Cosa il digitale chiede a noi? Cosa chiedono le comunità ai nostri musei?

Digital transformation per i musei

Le tecnologie digitali, pur mantenendo lontano il pubblico dalle sale, hanno permesso ai musei di rimanere metaforicamente aperti rispettando le direttive che hanno imposto la chiusura fisica delle sale espositive per la sicurezza del personale museale e del pubblico.

Cosa ci ha insegnato la prima reazione alla chiusura? Tutti i musei hanno promosso un’ampia gamma di progetti e attività digitali per continuare a sostenere l’accesso al patrimonio culturale e mantenere un rapporto con il proprio pubblico. È stato fatto in presenza e in assenza di competenze specifiche, con risultati differenti ma è stato fatto. E questo è importante. Anche dagli errori, quando riconosciuti, si cresce. Il pubblico forzatamente casalingo ha risposto partecipando, osservando con la nuova curiosità del primo periodo, il periodo della riscoperta del tempo liberato. I musei hanno raccolto i contenuti dalle risorse dei propri archivi e hanno prodotto contenuti con gli strumenti a disposizione, non sempre all’interno o in continuità con un piano di comunicazione preesistente o comunque presente.

Alcuni musei hanno semplicemente preso un posto all’interno dei social cercando di essere presenti, essere lì dove in quel preciso momento si trovava la propria comunità di riferimento. Hanno fornito nuovi contenuti e dato forma al museo all’interno di mostre virtuali, incontri curatoriali, dialoghi e tour virtuali. La parete piena di volti che parlano e ascoltano e sorridono frontalmente è diventata la nuova misura del nostro stare in rete, il display del nostro museo quotidiano, del nostro museo di casa.

Ma le soluzioni digitali richiedono tempo, formazione, competenze, e integrazione oltre alla volontà di investire parte del budget in comunicazione digitale. Non ci sono alternative. Le domande che si pongono oggi riguardano quali sono gli strumenti che permettono ai musei e al pubblico di incontrarsi in uno spazio che non è quello del museo ma deve parlare la stessa lingua e usare lo stesso tono, deve offrire esperienze in continuità con quelle degli spazi fisici. Quali strumenti digitali possono aiutare i musei a sostenere la comunicazione con la comunità nei tempi difficili a venire, e come possono i musei valutare se e quando adottare queste soluzioni?

L’eredità che possiamo sperare per quello che sta accadendo è che non sia una soluzione transitoria ma che possa aprire e metaforicamente fare uscire i musei dalle proprie stanze. Sarebbe auspicabile che le esperienze interattive che fino a pochi mesi fa si potevano vivere in sicurezza in alcuni musei, possano essere rielaborate per la rete, nelle gallerie e negli spazi pubblici.

I Musei sono stati capaci di creare intorno a loro una rinnovata attenzione. Alcuni musei in particolare sono stati capaci di aumentare i propri follower sui social media anche con ordini di grandezza importanti, diventando virali e andando a coinvolgere alcuni social non propriamente pensati per le attività culturali di un museo come TikTok.

Musei digitali, il ruolo dei social

I contenuti esposti durante la prima chiusura erano composti da video, immagini e testi pubblicati tramite le piattaforme social come Facebook, Instagram, Twitter. Questi elementi sono stati organizzati per produrre approfondimenti su alcune opere, presentare i temi di ricerca del museo e in alcuni casi sono stati organizzati dei tour virtuali dell’intero percorso. Col tempo sono poi arrivate le conferenze e gli eventi e infine le attività laboratoriali a distanza. Ma per quale pubblico? Non sempre c’è stata consapevolezza a questo proposito.

Con la riapertura dei musei la presenza nel digitale è stata per alcuni ambiti necessaria e per altri ha invece rappresentato un problema inverso. Prendiamo il caso delle biglietterie. Averne fatto una migrazione on-line ha permesso ai musei di risolvere molti problemi per la sicurezza legate alle file e alla presenza concentrata del pubblico. L’emissione di biglietti online è stata necessario per la sicurezza delle persone e per il tracciamento degli accessi: in qualsiasi momento i musei sapevano chi ci sarebbe stato, quanto pubblico compresi i nominativi dei presenti, dato riservato ma necessario in caso di contagio. L’apertura di uno sportello online ha aumentato spesso la qualità della comunicazione sugli orari e le modalità di accesso e ha offerto la possibilità di fidelizzare il pubblico al sito che, se ben fatto, può fornire informazioni, anticipare contenuti del museo e potrebbe anche suggerire sperimentazioni intorno ad orari prolungati o accessi speciali a eventi (a pagamento) esclusivi per famiglie o piccoli gruppi.

Il museo del futuro

Museo e digitale sono quindi due facce di una stessa medaglia che rappresenta la nostra contemporaneità. In un terzo momento di chiusura la cultura è nuovamente stata allontanata dalla fisicità delle sue comunità. Ma è cambiata la reazione dei singoli musei. Oggi assistiamo alla generale domanda da parte dei musei di conoscere e di scambiare esperienze online anche in diretta all’interno di incontri pubblici: vanno in questo senso molti progetti di allestimenti virtuali in ambienti metaforici, ambienti imitativi e cioè copia della realtà, con e senza avatar in presenza. Come sempre i migliori progetti sono quelli che sanno ascoltare con competenza e professionalità il proprio contesto fatto di territori, politiche, comunità, bisogni speciali, fragilità, includendo all’interno di qualsiasi linguaggio o forma le istanze raccolte attraverso le domande rivolte al pubblico e le domande ricevute dal pubblico.

Quindi non stiamo assistendo alla fine del museo. Basta rivolgere lo sguardo al passato per vedere quante volte il museo ha cambiato forma per adattarsi al contesto e alla domanda di cultura della comunità. Perché le collezioni, il loro studio e la loro valorizzazione sono e restano elementi centrali. È la molecola che cura. Ma servono i veicoli e il digitale è il migliore veicolo che abbiamo oggi per veicolare la cura che il museo può offrire alla nostra società.

Oggi il museo ha un compito molto ambizioso: contribuire allo sviluppo di una consapevolezza ambientale, stimolando un’economia più sostenibile e mettendo al centro accessibilità e inclusione. Le collezioni del futuro sono già “in costruzione”

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